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CONFIDENZE

Nel corso di questi anni, da quando ci occupiamo degli altri, dell'altro, abbiamo conosciuto tante persone meravigliose, tante donne, mamme che nel silenzio del loro cuore portano avanti una vita impegnata in una costante missione. Con un amore sconfinato accompagnano i loro figli nella vita silenziosamente e umilmente. In questa pagina vi vogliamo riportare poche righe della loro testimonianza, personale e in un modo quasi vergognoso si raccontano timidamente. Grazie a tutte voi che avete voluto condividere con noi la vostra parte più intima.

CONSIGLI CONFIDENZE (Sincere)......CRITICHE (sentite)...... e forse

Mater semper certa est..... ci hanno bollato con questo stereotipo e noi, pensando fosse una lusinga, siamo cadute nella trappola dello “scarica barile” (come si dice a Firenze) cioè hanno scaricato tutte le responsabilità su di noi!
Salve Mamme! So cosa state pensando....”ma che razza di mamma è questa?”
Bene, mi presento: intanto faccio parte della categoria, sono una mamma di 50 anni infatti ho 2 figli, una femmina di 13 anni e un maschio di 10. Sono “felicemente” separata da quasi 5 anni. E, rimanendo sempre nell'ambito temporale, quest'anno festeggio il 20esimo anno di ruolo. Già, la mia professione è l'insegnante nella scuola primaria (almeno questo obiettivo l'ho raggiunto, è da quando avevo 6 anni che alla patetica domanda: “Cosa vuoi fare da grande?” non ho mai esitato: “La Maestra!”) un compito straordinario....meraviglioso!
Ecco espletate le presentazioni andiamo avanti....
Che Mamma sono?
Semplice: la mamma che tutti si aspettano, sono una mamma attenta, una mamma disponibile, una mamma giudiziosa, sincera, brontolona, che si occupa della scuola, della salute, dello svago... sono la classica Mamma italiana, quella che piace a tutti... quella che gli altri giudicano “una brava mamma”.
Sono anche la mamma che dà le regole, la mamma coerente: se dice: “si” è si, se dice: “no” è no, la mamma che ascolta, la mamma che sbaglia, la mamma che si mette in discussione la mamma che c'è....
Brava eh? Applausi....grazie!!! Grazie....grazie!!!
Oh! Ma quante siamo! Davvero tante....tutte identificate sul modello italiano, Mamme con la “M” maiuscola... parola che riempie la bocca: MAMMA!
E come ci piace quando ci chiamano: la prima parolina che esce da quella boccuccia “Mamma”...che emozione, vero? Che commozione!
Per non parlare della gravidanza: “E' il mio corpo che cambia....” (per dirla alla Piero Pelù). Quella devastazione fisica, la pancia che lievita giorno dopo giorno fino a diventare tutta te, da cui spuntano due braccia, due gambette, una testa e... due tette giganti! Bellissimo!!!
E che dire del parto? Che esperienza! Ho avuto la possibilità di sperimentarne due, con modalità diverse...
La prima figlia è nata dopo 15 ore di.....dolori atroci....ma la “super mamma” che è in me non si è lasciata sopraffare....la forza adrenalinica, o di non so quale altra natura, mi ha posseduta e, dopo tre ore dalla nascita ho firmato e, la mia pargoletta ed io, accompagnate dalla presenza del babbo (molto efficace ed efficiente) abbiamo trionfalmente varcato la porta dell'ospedale per rifugiarsi, felici, a casa della nonna (la mia mamma), che ci ha accolto e coccolato per circa un mese!
Il secondo figlio è nato, invece, con un parto cesareo d'urgenza (inaspettato....poi vi spiegherò perché) e anche in questo caso la “super mamma” ha superato se stessa e ogni limite: dopo quasi tre ore dal parto, visto che non mi portavano il bambino, mi sono fatta togliere flebo e fili vari e con le mie gambette e un dolore lancinante, ho percorso, a passo di formica in meno di mezz'ora, i 50 metri che separavano la mia camera dalla nursery dove, finalmente, ho potuto toccare il mio piccolino che se la dormiva nella cullina termica! In confidenza mi sono beccata anche un bel cazziatone dall'infermiera perché non potevo alzarmi!
Ancora applausi grazie....grazie!
Allattamento: che sensazione unica sentirsi “mucca” nella vita....liquido bianco che sgorga: nutrimento per il tuo cucciolo!
Grande prodigio della natura, si può andare dove si vuole, quando si vuole... il cibo è sempre a disposizione, unica necessità sedersi... non mi è mai riuscito allattare in piedi!
Allattamento su richiesta: sempre comunque e dovunque: prima da sinistra poi da destra, la poppata dopo viceversa. Che comodità!
E quando il bambino decide che non ha ancora fame e magari se la dorme più del solito? Le poppe non lo sanno e producono...producono e ingrossano e cominciano pure a fare un po' male ma, soprattutto, fanno rumore: “zzz....zzz” un leggero ronzio....appena appena fastidioso!
“Amorino....svegliati per favore! Prima che scoppino!” “UEEEE!” in un batter d'occhi poppa in bocca e... ciuccia ciuccia... che sollievo!!!
Noi MAMME... che spettacolo!
Ma torniamo un passetto indietro a proposito del secondo figlio... ho stuzzicato un po' la vostra curiosità?
Vi racconto.
Scade il tempo... medici un po' preoccupati... parto indotto... inizia il travaglio... qualcosa non va.... ginecologo molto preoccupato... cesareo d'urgenza... futuro bis-babbo molto abbacchiato e triste non può partecipare all'evento e viene abbandonato nella stanza accanto alla sala operatoria.
Per fortuna non ero sola (povere le mamme che devono affrontare questa esperienza da sole...) con me c'era la mia ostetrica, preziosa presenza (alla nascita di tutti e due i mie bambini) che mi ha accompagnato con totale devozione e cura in queste avventure.
Insomma, un cesareo d'urgenza per me era una novità... tremavo come non so cosa... anestesia... perdita di sensibilità dalla vita in giù... i medici ti considerano meno che zero... per loro è consuetudine... chiacchieravano del più e del meno... mi avvertono che stanno per estrarre il bambino... eccolo... SILENZIO TOTALE!
Accidenti... è morto... ancora silenzio (per dirla alla Leopardi: “...interminabili spazi e infiniti silenzi...”). “Caz... ma qualcuno vuole dirmi qualcosa?”... “UEEEE!”.....non è morto! “Ecco il tuo bambino....” “Mamma mia! Ho fatto uno gnomino del bosco!”
Mi presentano un fagottino verde dal quale spunta un musetto tondo con un cuoricino al posto della bocca e due occhi lunghi, lunghi... strani, strani... direi a mandorla, a mandorla.
“E' Down”... penso... ”macché dai! Che cavolo di film ti fai!”
Ricucitura... mi riportano in camera... il bambino non c'è... arriva il bis-babbo, mi guarda e sussurra: “Sembra che nostro figlio sia un pochino Down”... OPS!
Due ore...tre ore dal parto cesareo... via tutti i fili e passeggiata fino alla nursery... lo tocco... lo guardo... mah! Sarà anche Down... ma per me è proprio bello (“ogni scarafone è bello a mamma soa!” canta Pino Daniele) e poi è il mio bambino... e... guai a chi lo tocca senza il mio permesso!
Cazziatone dalle infermiere... torno a letto... mi riaccompagnano in carrozzina... meno male!
4 ore, 5 ore arriva un'infermiera con il tira-latte... ”perché?” domando....”I bambini Down non poppano!”
OPS!!!
Ed ecco la “super mamma” in azione... mi alzo di nuovo, stavolta molto arrabbiata... nelle orecchie mi rimbombano le parole: “non poppano, non poppano... non poppano!”
Mi impossesso della carrozzina abbandonata nel corridoio e,solo in 3 minuti arrivo alla cullina dove c'è un bambino (stavolta bluastro) incazzato nero (come me) che sbraita... l'infermiera mi fa un'altra partaccia, ma viene immediatamente zittita dalle mie parole: “VOGLIO PROVARE AD ALLATTARE IL BAMBINO!”... di malavoglia lo prende, lo pesa e me lo dà in braccio... finalmente!!!... lui si calma... ci guardiamo, ci riconosciamo e, alla faccia dei luoghi comuni, si poppa e si poppa e si poppa... che fame! Stremato si addormenta e me lo sbaciucchio un po'... l'infermiera lo ripesa e, con tanto d'occhi, afferma che ha stramangiato! E' felice anche lei e, sorridendo, lo adagia con dolcezza nella culla termica... i rapporti sono cambiati e, alla poppata dopo, durante la notte, mi portano il bambino in camera, per non farmi alzare, anche se (di nascosto) io avevo già fatto un paio di giratine fino alla mitica cullina per vedere se dormiva o no!
Così è iniziata la nostra avventura!
Care mamme, ho conquistato qualche punto?
Bene, grazie, ma ora li riperderò!
Che dire....il nostro è un ruolo complicato!
La società pensa a darci le dritte e a pretendere risultati, le persone intorno hanno grandi aspettative nei nostri confronti e noi per rincararci la dose ci VANTIAMO... perchè... SIAMO LA MAMMA! Complimenti!
Nessuno ci toglierà mai questo arduo compito, nessuno lo vuole il nostro ruolo... non vi preoccupate... non ci preoccupiamo... continuiamo a fare la mamma come ci piace, come ci riesce, con il nostro istinto. Ognuna di noi sa benissimo com'è, dove arriviamo con i nostri limiti e le nostre potenzialità, i nostri pregi e i difetti.
Andiamo avanti con queste consapevolezze abbandonando ostentazioni inefficaci, orgogli perdenti, pregiudizi senza fondamenta, cercando di non dimenticare che oltre ad essere “Mamme” siamo “Donne”: con la nostra personalità, la nostra unicità da difendere con forza, determinazione e un pizzico di umiltà.
Lucia
Con affetto una mamma

Venni a sapere dell'omosessualità di mio figlio per caso, leggendo un biglietto di una sua amica all'altra mia figlia.
Rimasi sbalordita, incapace di avere una qualsiasi reazione, tanta era la sorpresa e, subito dopo, lo sconforto.
Riuscii comunque dopo un po a parlare con mio figlio e lui mi confermò tranquillamente di essere gay.
Non è stato facile, nè per me nè per mio marito, però a poco a poco abbiamo accettato la sua scelta o indole, anche perchè il suo comportamento con noi e davanti a noi è sempre stato rispettoso nei gesti e nel comportamento.
Riponevamo duenque qualche esile speranza sull'altra figlia anche se ci pareva che fosse più sulla strada di una scelta da "single", visto che mai si è presentata a casa con un ragazzo o di aver saputo qualche storia importante.
Una sera, all'improvviso, mentre stavamo cenando, di punto in bianco ci avvisa di aver deciso un'unione civile con una sua amica, che conosciamo molto bene.
Dopo un primo momento di sconcerto, esterrefatti da una simile notizia, senza mai aver avuto il minimo dubbio sulle sue preferenze sessuali, sia io che mio marito le abbiamo semplicemente detto che se questa è la sua scelta e soprattutto è convinta di quello che fa, il nostra affetto per lei non cambia e se questa sua scelta la rende felice e serena, lo siamo anche noi per lei.
Sapere nostra figlia o nostro figlio in cattive mani, scontenti e infelici, separati o divorziati, non ci avrebbe fatto più male?
Se i nostri figli ci avessero detto di essere drogati o anoressici o disonesti, non sarebbe stato un male peggiore?
I nostri figli lavorano, sono educati e rispettosi. Non sono qualità di poco conto, specialmente nella società attuale.
La famiglia tradizionale non esclude la violenza sul coniuge o sui figli e l'ignoranza.
Nelle famiglie alternative ci potrebbe essere più amore, rispetto e serietà.
E' quello che auguro, come mamma ai miei figli, visto che è la loro vita e non la mia.
Mi reputo fortunata di aver un marito intelligente e sensibile e di aver, insieme a me colto e accettato l'essenza principale delle scelte di entrambi i figli, e cioè la loro felicità e serenità.
Con affetto, una mamma.


MERAVIGLIOSA.......ANNA
​

E’ da diciassette anni che vivo in Italia con la mia famiglia perché i miei genitori hanno adottato me e il mio fratello.
Tutto cominciò nell’anno 1997, quando il Tribunale accettò la domanda dei miei genitori per adottare un bambino dell’istituto delle Sorelle della Carità di Madre Teresa di Calcutta… e per casualità io fui la fortunata.
Nell’anno seguente io avevo solamente un anno e otto mesi e il 29 di marzo del 1998 il mio babbo stava già volando sull’oceano indiano per incontrarmi e donarmi una nuova vita. Mia madre non c’era, perché doveva rimanere con mio fratello che soffriva di otite, quindi mi aspettavano con impazienza in Italia.
Quando scese dall’aereo, mio padre andò a “Shishu Bawan”, così si chiama l’istituto a Calcutta. Quando entrò nel salone io lo riconobbi immediatamente perché qualcosa nel mio corpo si era smosso, il battito del mio cuore iniziò ad accelerare... lui non aveva figli e io non avevo genitori... il nostro destino era stato già scritto e le nostre vite dovevano incrociarsi. Io non sapevo la sua lingua e lo stesso era per lui, però tutto questo non ci creò alcun problema perché potevamo capirci attraverso gesti e sguardi.
Gli assistenti sociali dicono che quando delle persone adottano qualcuno, i genitori adottivi hanno una settimana per familiarizzare, dopo possono ritornare a casa con il proprio figlio. Prima di partire, passai quindi una settimana fantastica con mio padre, piena di sguardi, giochi, pianti, sorrisi…
Il 4 aprile, quando rientrammo in Italia, ci fu una grande festa, tutti erano a festeggiare, ma festeggiare cosa? Per la mia famiglia questo giorno è un secondo compleanno, perché è come se lì in Italia, io sia nata proprio in quel giorno e tutti gli anni è cosi, oltre a festeggiare il mio compleanno il 6 di luglio e quello di mio fratello il 21 di giugno, festeggiamo anche il mio 4 di Aprile e il suo 16 settembre.
Ogni volta che ripenso a tutto ciò, alla mia storia, alle mie origini, a tutto quello che i miei genitori hanno vissuto, ancora sento le stesse emozioni provate: allegria, gioia, felicità ma anche commozione e gratitudine. Per la persona che sono diventata lo devo ai miei genitori, perché mi hanno salvata da una vita dura e difficile e ringrazio il Signore che mi ha dato la possibilità di “rinascere” e vivere una vita migliore.
 
Anna


UN'AMICA, UNA MAMMA.............MICHELA

Mi sto costruendo un'idea. 
Non le metto le vesti di verità, la guardo da lontano, faccio fatica ad accettarla tutta intera, la 
voglio spogliare dal giudizio, cerco di capire dove mi porta. 
É difficile da accettare, ancor più da raccontare. 
Ma così è. 

Penso che ci siano due grandi categorie di adozioni possibili. 
Le prime si inseriscono perfettamente nella rete regolare e rassicurante del senso comune. 
Prevedono coppie perfette, possibilmente benestanti, incasellate, sorridenti e nello stesso tempo 
molto capaci di aggressività per difendere i loro diritti. 

Perché, appunto, un figlio è un diritto. E deve essere bianco, piccolo, sano, senza nessun "prima", 
deve iniziare con loro, essere per loro. 
Il figlio tanto desiderato. Quello che il destino ha negato. Quello che avrà la responsabilità e il peso 
di spazzare via tanto nero. 
Un "bambolotto" da esibire, per dimostrare che quella coppia perfetta é diventata, finalmente, 
una famiglia perfetta, come doveva essere. 
 
Poi c'è la nebulosa dove gravitano le coppie "diverse", quelle che hanno in comune con le prime 
soltanto, e non sempre, un pezzettino di destino. 
Un'attesa irrisolta, una diagnosi storta, un inceppo nel meraviglioso meccanismo. 
Un figlio mancante. 
Ma queste coppie hanno avuto il coraggio di fare un salto. 
Alto. 

E sono atterrate a testa in giù, ribaltando la prospettiva. Da laggiù hanno visto qualcosa di diverso. 
Bimbi di tutti i colori, grandi e piccoli, alcuni un po' rotti, tutti luminosi. 
Rialzandosi in piedi si sono accorti che nelle gambe, nelle braccia e nel cuore avevano la forza per 
accogliere, sorreggere, rincorrere e stringere quei bambini. 
Tutti, indistintamente, erano già figli loro. 
Figli di coppie che, ribaltando il destino, se ne sono create uno altrettanto in salita: coppie diverse, 
strane, costrette a spiegare, a giustificare. 
Le maglie della rete sono strette, e loro sono destinate a diventare famiglie non incasellate. 
Famiglie in prima linea, sempre in discussione. 
Combattono, lottano, piangono. Hanno sguardi lunghi, emozioni amplificate. 

Ma quando gioiscono illuminano il cielo più della luna con tutte le stelle. 

CARMELA

Mi chiamo Carmela, ho 53 anni e sono mamma di due figli Laura che ha 35 anni e Marco 29 anni.
La mia esperienza della maternità non è stata delle piu' semplici, definisco la prima maternità frutto dell'incoscienza per i miei 17 anni, ma ci siamo presi la responsabilità della vita che stava per arrivare e ci siamo sposati. Essendo minorenne sono tornata a vivere con la famiglia di mio marito perche' a casa mia non era possibile sei fratelli quindi troppo affollata. Non è stata una passeggiata di salute! Nata Laura gravidanza tranquilla fare la mamma non è stato difficile, ero abituata ad accudire mia sorella piu'piccola essendo la figlia femmina piu' grande. Questo perchè mio padre è morto in giovane età e mia mamma è rimasta da sola ad occuparsi di noi, come si deduce un'infanzia difficile.
Penso che la mia esperienza con mia figlia sia stata direi tranquilla ed appagante per entrambe, mi sono dedicata completamente a lei e contemporaneamente occuparmi di tutto il resto della famiglia mio suocero era rimasto vedovo da un anno con tre figli , quindi fare da mamma a Laura e “domesti-

ca” per tutto il resto. Gli anni sono trascorsi tra vari problemi di convivenza non facile , e il desiderio di una casa propria e una vita propria. Dopo 3 anni siamo andati a vivere in affitto in una casa vicino a mia mamma e per un anno la vita è trascorsa tranquilla nei problemi di tutte le coppie piu' o meno è cosi per tutti come si dice è la vita! Gli anni passavano Laura cresceva e in noi il desiderio di allargare la famiglia e successivamente anche io poter trovare un lavoro. Il primo tentativo è andato male ho avuto un interruzione di gravidanza al terzo mese spontanea, puo' succedere , fatti tutti i controlli ci abbiamo riprovato . Rimasta incinta sono stata seguita dal miglior ginecologo che allora c'era sulla piazza, tutto bene gravidanza ecografie tutto. Ma al momento del parto mio figlio Marco è nato con una malformazione invalidante per tutta la vita. Tutto il mondo crolla addossso sono stati all'inizio giorni mesi di disperazione non sai cosa devi affrontare non capisci o non vuoi capire tutto quello che ti stà accadendo! Poi piano piano ho trovato la forza e l'amore per questo figlio che aveva bisogno di me sono stati anni difficili duri da affrontare lunghe ospedalizzazioni interventi chirurgici di continuo solo alla nascita è stato 8 mesi all'ospedale Mayer, piano piano ha preso il via riabilitazione che non hanno portato che al momentaneo miglioramento, ma la sua malformazione (Spina Bifida) lo ha reso inabile in tutto, non ha mai camminato non controlla i suoi bisogni fisiologici non mangia da solo,lo accudisco come un bambino piccolo e come se avessi partorito 30 figli a volte mi dico. Come penso si possa immaginare il lavoro è stato ed è tanto non si puo' descrivere solo chi vive o ha vissuto puo' capire che solo con tanto tanto amore si riesce a vivere in questo cammino di vita, credo che sia stato per me l'unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti, l'amore di mio figlio che è per me forza e coraggio il suo sorriso illumina ogni giornata e da l'esempio di vita per me per noi per tutti .Tutto questo vivere ha inevitabilmente portato problemi nella vita familiare anche nel rapporto con mia figlia Laura che si è trovata bambina ad affrontare problemi cosi' grandi che hanno inciso nella sua crescita di vita, noi genitori catapultati a pensare al figlio piu' bisognoso, non abbiamo fatto mancare niente di cio' che potevamo ma sicuramente si e' sentita trascurata negli affetti ,e questo oggi che è adulta è a sua volta mamma rimane un problema, mi dispiace ma purtroppo non si puo' cambiare cio' che è stato, potessi tornare indietro farei scelte diverse , ma non si puo'. Quindi va bene cosi' avanti e sarà quello che Dio vorrà tutta la mia vita è stata dire si'!

ELISA

 Quando io e Maurizio, ci siamo aperti all’esperienza dell’affido, eravamo sposati da quattro anni. Alle spalle una storia personale fatta di tanti momenti drammatici e dolorosi, che se da una parte avevano lasciato delle cicatrici, forse non tutte rimarginate, dall’altra però ci avevano plasmato e dato la possibilità di diventare un “Uomo” e una Donna” e dire a pieni polmoni il nostro “sì” alla vita in modo consapevole e responsabile.
Il nostro primo “sì”, responsabile e consapevole, è stato sicuramente il nostro matrimonio, celebrato l’8 dicembre 2008 nella Chiesa di S. Lucia alla Sala a Brozzi. Il nostro primo “no”, invece, condiviso e senza esitazioni è stato quando il medico ci ha proposto la fecondazione assistita (FIVET) come soluzione al problema della nostra sterilità. Eh, già sì! Sterilità, una parola per una situazione, che quando ti trovi a viverla, ti rendi conto di quanto sia forte, grave, carica di dolore. Nell’animo si alternano con dirompenza vari sentimenti: incredulità, collera, negazione, frustrazione. A chi me lo chiede io dico sempre che per me vivere la sterilità è stato come vivere un lutto; forse perché di fondo veniva a scardinare quel mio ideale di famiglia, una famiglia con tanti figli, che avevo sempre desiderato.
Da tale situazione di “macerie” e dalla consapevolezza e dalla certezza che la sofferenza non è mai a caso e che ha sempre un fine di bene per coloro che la vivono, ho cominciato ad interrogarmi, a chiedermi che senso avesse questa croce per noi, noi che alla Giornata Mondiale della Gioventù a Sidney nel 2008, avevamo deciso di sposarci sulle parole introduttive di Papa Benedetto XVI, tratte da Atti 1,8 ”Riceverete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra”.
Mentre i mesi passavano, cresceva in me sempre di più il desiderio di maternità e un giorno mentre sfogliavo una rivista cattolica, mi imbattei in un annuncio di una associazione, che ricercava famiglie disposte all’affido per accogliere bambini in difficoltà. Ne fui subito colpita e ne parlai a Maurizio. Ci sono voluti comunque due anni, da quel momento, prima di aprirsi all’affido e a prendere la decisione di accogliere nella nostra famiglia un bambino che non fosse generato da noi. Desideravamo che non fosse un colpo di testa, e nemmeno, così, una voglia da soddisfare, come spesso facciamo con i beni di consumo. Inoltre era importante che entrambi fossimo consapevoli e pronti a fare un passo del genere, che implicava l’esserci totalmente come persone ma anche l’essere disposti a donarsi e forse a rinunciare al nostro io. Quello che ci ha spinto maggiormente è stato il desiderio di fare conoscere a un bambino, che aveva sicuramente sperimentato il rifiuto, l’accoglienza; a un bambino, che poteva per una serie di circostanze, avere conosciuto solo odio e ricatti, l’amore e la gratuità. Non tanto in virtù delle nostre forze, assai scarse e limitate, o dei nostri propositi, buoni ma poi agiti male, ma in virtù dell’avere potuto conoscere un Dio che ci ha amato, che ci ama e che è presente nella storia e che come si suole dire “riesce a scrivere sulle righe storte”.
Così, dopo questo periodo, durato circa due anni, siamo stati contattati dal Centro affidi di zona, al quale avevamo palesato nel mese di marzo il nostro interesse. Abbiamo cominciato gli incontri conoscitivi nel mese di maggio. Non abbiamo fatto in tempo ad arrivare all’ultimo incontro, avvenuto nel mese di giugno, che subito ci è stato presentato il caso di N. e M., una bambina di 8 anni e un bambino di 4 anni, sorella e fratello di nazionalità italiana. Ricordo ancora il giorno, era un venerdì intorno alla metà di giugno. Mentre l’assistente sociale ci descriveva la situazione di N. e M., che in quel momento si trovavano in un Istituto per minori di Firenze, e ci leggeva il Decreto di affidamento, ricordo che sia io che Maurizio rimanemmo senza parole, in quanto non ci aspettavamo un abbinamento così rapido. Ci fu chiesto di prenderci il fine settimana per dare una risposta. Così facemmo, perché anche noi volevamo vedere che tipo di reazione ci avrebbe suscitato, una volta usciti e tornati a casa, tale notizia. Parlammo tra di noi, la sensazione che percepivo e che percepiva anche Maurizio, è che dentro di noi scaturiva un “sì” a N. e M., come se una forza inspiegabile ci spingesse verso di loro.
La conoscenza con i bambini è stata graduale, nel mese di luglio ci siamo recati sulla costa Ravennate, dove N. e M. erano al mare con gli altri bambini dell’Istituto. Ricordo ancora, il mio imbarazzo e il senso di estraneità che provai, quando la Madre Superiore ci presentò i due bambini. La bambina, dallo sguardo felino e pungente, in pochi secondi ci squadrò da capo a piedi e sembrò come se la cosa non la toccasse minimamente, anche se poi al termine della giornata, al momento dei saluti si fece scappare un “ciao mamma”, rapido e veloce, quasi incomprensibile a dirmi “ho capito, chi sei!”. M., invece, suscitò subito la tenerezza sia mia che di Maurizio. Aveva quattro anni ma ne dimostrava due, il suo sguardo era come sperso nel vuoto, senza luce, e si vedeva benissimo che il suo tentativo era di sforzarsi con tutto se stesso di capire se realmente quel babbo e quella mamma di cui gli avevano tanto parlato, fossero lì per lui e fossimo proprio noi. Fin da subito M. ha manifestato un grande attaccamento a Maurizio. Rimanemmo molto colpiti quando a fine giornata, salimmo in macchina e andando piano piano per salutarlo, ci rincorse lungo la ringhiera del cortile con le gambine corte di un bambino e cominciò ad urlare: “Babbo, ti voglio bene. Ti aspetto, torna presto”.
Il 1 settembre 2012, N. e M. sono venuti finalmente ad abitare con noi. Dico finalmente, perché entrare nelle pareti domestiche ci avrebbe permesso di entrare nel vivo della relazione. E devo ammettere che “nel vivo” ci siamo poi entrati. All’inizio (ma anche tuttora a distanza di due anni) non è stato e non è per niente facile. Anzi, spesso, quando ripenso ai due anni trascorsi, mi dico sempre “menomale che la vita va avanti e che ci viene donata ogni giorno una nuova forza, quella necessaria per affrontare il presente!”. L’arrivo di N. e M. è stato per me sconvolgente e faticoso, non solo perché dall’essere in due siamo passati all’essere in quattro, ma soprattutto per le emozioni e i sentimenti contrastanti che questi due bambini riuscivano a smuovere e a suscitare dentro di me, come donna, come madre, come moglie. E’ stato per me difficile in diversi momenti mantenere la lucidità, la calma, la pazienza.
Ogni mio ideale di madre premurosa, generosa, amorosa, accogliente è stato in breve tempo smantellato. Quando sono entrati in famiglia, è come se questi due bambini fossero “scesi in guerra”, noi eravamo i loro nemici dai quali dovevano difendersi per non perdere le loro radici e non dovere rinunciare a quello che fino ad allora li aveva tenuti in vita: tornare prima o poi a casa dei nonni. Era sbalorditivo, inoltre, constatare come N. e M. fossero legati l’uno all’altro, sembravano in simbiosi; in dei momenti ho pensato che fossero telepatici, perché era come se uno pensasse e l’altro esprimesse quello che l’altro stava pensando.
N., cercava di farmi capire in tutto e per tutto, che lei non aveva bisogno di una madre, perché una madre ce l’aveva già e perché lei per prima era stata madre di sua madre. L’atteggiamento di sfida, di derisione, di opposizione, il suo mettersi alla pari mi creavano senso di disagio e anche frustrazione. Spesso era come se lei fosse in competizione con me e dovesse dimostrarmi di essere già adulta. Non posso negare che la difficoltà più grande, che ho provato, è stata ed è tutt’oggi, il mostrarle il mio affetto. Quando mi avvicino a lei, il suo corpo, il suo essere parlano al mio, ed è come se percepissi da parte sua il desiderio, sicuramente inconscio, di possedermi, di inglobarmi, di risucchiarmi. Se camminiamo per strada, lei è l’unica che può camminare al mio pari; a suo fratello tira le spinte per allontanarlo spesso rischiando di farlo cadere, se sono con Maurizio, invece, si mette nel mezzo e interrompe di continuo la nostra conversazione. Spesso è come se percepissi, il bisogno di difendermi da lei. Lei, che pochi mesi dopo la morte di mia madre, con tono canzonatorio e quasi sadico, mentre eravamo al supermercato, mi disse che sapeva lei come farmi piangere proferendo solo il nome di mia mamma. Forse, in questo suo modo di comportarsi, dovrei leggere una richiesta di attenzione, una richiesta di esclusività (che lei non si è potuta permettere perché già a tre anni aveva capito che la mamma si faceva delle punture che la facevano stare male e quando è arrivato suo fratello ha cominciato a fare da mamma anche a lui), una richiesta di amore, che lei ha conosciuto solo in parte. Ma il suo comportamento, si scontra purtroppo con la mia indole, abituata a rifuggire tutte quelle situazioni di imbrigliamento. E allora è sempre un lavoro costante su me stessa, nel cercare di avere ben presente che di fronte a me c’è sì una bambina adultizzata, ma c’è anche una bambina che dietro la sua corazza necessita di essere amata. Con lei non sarà semplice, lo abbiamo ben presente e sarà una lotta “all’ultimo sangue” per poterle fare apprezzare quel dono meraviglioso che le è stato dato, che è la vita.
D’altro canto, M. rifiutava ogni mia coccola, carezza, non permetteva assolutamente che lo toccassi, non faceva altro che strillare e arrabbiarsi per ogni cosa, fosse stato chiedergli di collaborare o fosse stato imporgli un limite. Ogni mattina quando andavo a svegliarlo, cominciava a gridare e percepivo dentro a quella sua voce stridula tutta la sua rabbia. Era come se ogni mattina mi dicesse “cosa vuoi da me, tu non sei la mia mamma”. Poi, però è arrivato il giorno, tanto atteso, della “vittoria”. Una mattina, ho cominciato ad abbracciare e a baciare sulla fronte M., ricordo ancora il suo rifiuto, era tutto irrigidito e continuava a gridarmi: “vai, via, non ti voglio!”. In quel momento, per grazia di Dio, è successo un miracolo. Invece di cominciare ad urlare anche io, ho continuato ad abbracciarlo e a baciarlo, finché non è scoppiato in una risata liberatoria che mi ha fatto capire che in realtà quello che lui desiderava era proprio quello da cui lui voleva difendersi.
Se avevo un’immagine dei bambini in istituto bisognosi di affetto e di ogni necessità materiale; con loro mi sono dovuta ricredere anche di questo, visto il forte legame che avevano e hanno con la famiglia di origine e viste anche le condizioni socio-economiche della stessa. Ho provato per molto tempo un profondo senso di amarezza e di sconforto come donna, perché in una situazione di affido così ingarbugliata e con molte figure presenti (nonni, mamma, babbo di M.), non mi percepivo realizzata ma affaticata e gravata da un fardello di relazioni complesse e non produttive nel rapporto con i bambini. Come madre, perché ho sperimentato tutta la mia povertà e la mia limitatezza. Sono passata da reazioni di collera, di impazienza, di repulsione a laceranti sensi di colpa. Per diverso tempo, ho percepito N. e M. come due totali estranei che non avevano niente a che fare con me e mio marito. Tante volte avevo sentito dire che la maternità non è solo biologica ma anche spirituale. E’ vero che nell’affido si fa tale esperienza perché ti viene chiesto di custodire per un tempo delle creature che prima o poi si spera tornino con le proprie famiglie. Per me però questo senso materno non è sbocciato immediatamente, ci ha messo un bel po’ prima di fiorire ed oggi a chi me lo chiede, rispondo sempre che io posso volere bene a N. e M. come se fossero figli miei, ma non sono figli miei. C’è un legame di “pancia” che non può essere colmato da una parte e reciso dall’altra. E loro me lo dimostrano e confermano quotidianamente.
Infine come moglie. Non posso negare che l’arrivo di N. e M. non abbia sconvolto anche la relazione tra me e Maurizio. I momenti di incomprensione e di tensione si sono acutizzati, non tanto per visioni educative differenti, quanto per la tipologia di affido. Non essendoci stato un progetto di affido ben dettagliato ed esaustivo (questo però lo abbiamo capito molto dopo), ci siamo ritrovati non solo ad essere genitori all’improvviso di una bambina di 8 anni che ne dimostrava 16 e di un bambino di 4 anni, ma anche ad interfacciarci con i diversi soggetti che gravitavano intorno ai bambini (nonni, zii materni, zii paterni di M., mamma, babbo di M.). E come è risaputo, spesso, non si va d’accordo nelle migliori famiglie, figuriamoci tra persone che non si sono scelte e che sono costrette a stare insieme.
Certo forse chi leggerà questa mia esperienza, potrebbe scoraggiarsi nell’aprirsi all’affido, non posso negare che nei momenti di stanchezza non mi baleni per la testa “ma chi me l’ha fatto fare”, oppure non posso confutare che si tratti di una esperienza sfibrante e fatta di piccole conquiste, raggiunte dopo tanto travaglio. Però poi ripenso a ciò che ci ha messo in movimento, penso che se ci siamo aperti all’accoglienza è stato in virtù di un esperienza di Bene, Gesù, che ci ha accolto per primi noi quando eravamo ribelli e lontani da lui. Tante volte sia io che Maurizio, abbiamo pensato in questi due anni, di interrompere l’affido e tutte le volte i bambini, senza che ce lo aspettassimo, ci hanno stupito con un gesto, una frase, un pensiero, che noi abbiamo sempre fino ad oggi interpretato come un incoraggiamento da parte del Cielo. Tutto sommato quando guardo N. e M., penso che nonostante tutto ne è valsa la pena. In fin dei conti, la presenza di questi due bambini, che oggi mostrano un’affezione, un attaccamento, un volere fare parte della nostra famiglia (almeno a parole), mi hanno aiutato a crescere, ad accettare il problema della sterilità di coppia, a ridimensionare le mie aspettative e i miei ideali di madre, e soprattutto a farmi riscoprire il significato unitivo del mio matrimonio, che rischiava di essere vissuto solo in funzione dell’aspetto procreativo.



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